L’ambasciatore Stefano Stefanini è intervenuto sul quotidiano “La Stampa” con un articolo dal titolo “La diplomazia internazionale non ci attende” dove sostiene che, per ragioni di politica estera, in assenza di un nuovo governo sarebbe necessario dare nuovo ossigeno all’esecutivo Gentiloni.
Stefanini è un diplomatico dalla grande esperienza. In carriera ha assunto importanti responsabilità in sedi quali Mosca, New York e Washington. Ha svolto le funzioni di rappresentante italiano presso la Nato. È stato consigliere diplomatico del Presidente Napolitano sino al 2013, quando ha cessato per limiti di età.
Se Stefanini è stimabile per le sue solitamente lucide riflessioni, stavolta il suo ragionamento non è condivisibile. Sulla premessa si può convenire. Ha ragione infatti l’ambasciatore quando dice che l’Italia, anche per ragioni di politica internazionale, deve avere al più presto un governo “pieno”.
Ma è sulle conclusioni che non si può concordare: cioè che in caso di difficoltà per creare un nuovo governo sulla base dei risultati del voto del 4 marzo, si rivitalizzi il governo Gentiloni dandogli “una seconda vita preelettorale, breve ma credibile”.
Stefanini per arrivare a questa conclusione cita tre recenti vicende di politica estera:
- la questione del passaporto austriaco che il governo di Vienna vorrebbe rilasciare agli altoatesini;
- l’incursione dei gendarmi francesi a Bardonecchia;
- le difficoltà che stanno nascendo sull’intervento italiano in Niger.
A parere di Stefanini, queste vicende dimostrerebbero che l’Italia non sarebbe stata rispettata a causa dell’intrinseca debolezza di un “governo dimissionario, pur bravo e internazionalmente rispettato”. Quindi, per Stefanini, o governo pieno (con tutte le difficoltà derivanti dagli scenari post elettorali) oppure mantenimento di Gentiloni con una seconda vita.
La politica estera di Gentiloni e del Pd non è stata incisiva
La riflessione di Stefanini non è condivisibile alla luce di due dati.
Il primo è il presupposto che la politica estera di Gentiloni sia stata di successo. I fatti lo smentiscono.
Anzi, i tre casi citati da Stefanini sono in piena continuità con quanto avvenuto negli ultimi anni. Infatti, sia Gentiloni che i precedenti esecutivi Monti, Letta e Renzi hanno purtroppo inanellato una lunga serie di rovesci internazionali.
Si pensi ai marò, al caso Regeni, alla semi-sconfitta per il seggio al Consiglio di sicurezza Onu, alla mancata assegnazione dell’Ema a Milano, all’appiattimento sulle insensate sanzioni alla Russia. E ancora: l’assenza di visione sul dossier immigrazione; l’inutile intervento militare in Niger, paese senza interesse strategico per l’Italia, per assecondare interessi francesi; l’incapacità di incidere in teatri strategici quali la Libia.
Il secondo dato è che lo scorso 4 marzo Gentiloni e il Pd hanno malamente perso le elezioni proprio su due temi strettamente legati alla loro inconcludente politica estera: l’immigrazione selvaggia e la crisi economica, figlie anche dell’appiattimento dell’esecutivo italiano sulle linee dettate dall’Unione Europea e dalla Germania.
A livello internazionale i governi autorevoli sono quelli con consenso popolare
Non si vede dunque come l’innaturale mantenimento in vita del governo Gentiloni – ormai irrimediabilmente delegittimato dal voto popolare – potrebbe mai ridare vigore alla politica estera italiana.
Anzi, alla luce di quanto precede è lecito ipotizzare che sia vero il contrario. Nessun governo è più debole a livello internazionale di un esecutivo privo di consenso.
Proprio per tentare, per quanto possibile, di porre rimedio alle disfatte subite in campo internazionale nell’ultimo lustro, l’Italia deve al più presto cambiare timoniere. Darsi un nuovo governo sulla base del mandato popolare ricevuto dagli elettori. Un mandato che dia autorevolezza al nuovo esecutivo nei consessi internazionali.
Un mandato popolare che ha rigettato con decisione proprio i paradigmi alla base della politica estera della sinistra: carità pelosa sull’immigrazione ed europeismo di facciata per giustificare l’incapacità di difendere l’interesse nazionale.
È, del resto, arduo convincersi che chi non è stato capace di difendere gli interessi nazionali in questi cinque anni, possa riuscirci oggi che ha ricevuto l’avviso di sfratto dagli italiani.
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